Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/173

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morte. E adesso non so più che fare. La mia famiglia è distrutta, Annalena, la mia casa bruciata. Di chi la colpa? Mah!

— La nostra vita è così... — tentò di confortarlo la donna; egli però le si rivoltò quasi minaccioso.

— Oh, tu non ti lamentare. Tu non sai. Tutto si può sopportare e vincere fuori che quel male lì. Meglio mille volte la morte: poichè è come trovarsi davanti all’inferno dove la persona alla quale tu vuoi bene si agita e brucia ed urla, e tu non puoi recarle soccorso. Ed è inutile cercare di aiutarla: anzi il suo male diventa il tuo.

Egli adesso aveva un aspetto così stravolto, che Annalena si pentì di avergli ricordato la sua sciagura. Anche lei si sentì presa da quel soffio di angoscia inumana e tutti i beni della terra le apparvero inutili.


In fondo però provava un senso di gelosia per il dolore dell’uomo. Dunque lei non contava più nulla per lui? Meglio così, pensò, tentando di evadere da quel cerchio di follia. Domandò: