Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/175

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I bambini avevano sentito molto parlare della misteriosa malattia della moglie del padrone, e quindi gli si avvicinarono con un certo timor panico, come se pure lui ne fosse colpito. I loro occhi curiosi lo fissavano di nascosto, squadrandolo come un fantoccio pericoloso; ma egli non se ne accorgeva, ed al contrario delle altre volte non li chiamava a sè, permettendo loro di frugare nelle sue tasche: anche i suoi occhi avevano una curiosità insolita, mutabile, che cercava le cose e le persone e le scansava subito, poichè più da nulla nè da nessuno egli sperava di trarre aiuto.

L’accoglienza quasi ostile di Annalena gli aveva ribadito sul cuore il chiodo della sua pena; le sentenze del vecchio Dionisio gli sembravano sciocche, e la stessa letizia dei bambini, che adesso giocavano fra di loro ridendo e morsicchiandosi coi dentini freschi come piccole mandorle sbucciate, accresceva la sua nera disperazione.

Accorgendosi dello stato di lui, Annalena lo invitò a rimanere a cena da loro.