Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/190

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sturbare, aveva appoggiato contro l’uscio della sua camera la cassetta militare ancora colma delle sue robe: la madre attraversava l’ingresso in punta di piedi, pensando però che tutto questo poteva farsi solo per un giorno.

Domani la vita ricomincerà diversa, Pietro stesso lo ha dichiarato.

E quel giorno fu davvero come il passaggio da un’atmosfera ad un’altra: giorno di disordine, e, per la madre, d’inquietudine e di pazienza. Ma era anche di domenica, e la domenica, non forse tutti lo sanno, è per le donne di casa una giornata più faticosa ed agitata delle altre: gli uomini si cambiano di vesti, i bambini bisogna ripulirli e pettinarli, il pasto è più complicato: pazienza, purchè tutto vada bene in famiglia.

La pazienza non mancava ad Annalena, mentre mancava del tutto alla Gina che nel distrigare i capelli ai figliuoli brontolava contro la miseria e la mala sorte. I bambini, a loro volta, strillavano come cornacchie, ed il maggiore scappò nell’aia, fra i tappeti dorati e scricchiolanti del granturco, dov’ella lo rincorse e, afferratolo per le vesti, cominciò a percuoterlo con la mano sulle spalle e sulla testa. Ai gridi di lui, Pietro si svegliò e balzò alla finestra.