Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/205

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— Dove sono gli altri ragazzi? — domandò, ma senza troppo interesse.

— Sono fuori. C’è lo zio Dionisio che gira per i campi.

Egli fece un segno che voleva dire: — non m’importa di lui: è morto peggio di me.

— Gina, porta da bere al nostro padrone, — disse allora la donna, decisa a scuoterlo in qualche modo dalla sua tristezza: poi gli domandò con voce franca come stava la moglie.

Qui era la piaga viva; ed egli sobbalzò.

— Lei, io e tutti, siamo nell’inferno: non lo senti? Forse si ha peccati da scontare; io più di tutti. E recenti anche; tu lo sai.

— Io? Che ne so io dei tuoi peccati, — ella rispose ridendo; ma anche la sua piaga segreta sanguinava.

— Quando si è nella strada del dolore, per sfuggire alla propria sorte si cerca sempre qualche viottola di traverso: e qui sta il peggio, qui sta in agguato il demonio, che ti afferra per la nuca e ti riporta tutto pesto alla tua strada.

Ma ecco Gina con la bottiglia nera già attanagliata in cima dal cavatappi. Anche la lunga persona di lei, gonfia, il viso scuro silenzioso, la nuvola dei suoi capelli attra-