Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/44

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tele ed il suo metro e so che ella, se vuole, mi può ricevere impunemente. La finestra della cucina è illuminata: io busso e non ricevo risposta: busso ancora, e finalmente lei si degna di aprire. La tavola è apparecchiata per due, e dalla padella sul focolare vien fuori un buon odore di pollo in umido.

— Forse stasera arriva Martino, — dice lei, per spiegarmi quei preparativi. — Capirai, devo ben dargli da mangiare, poveraccio. — E mi accoglie molto fredda, come un semplice amico di famiglia, tendendo sempre l’orecchio se mai si sente fuori il passo del marito. Io però sentivo la finzione, ed avevo il dubbio ch’ella aspettasse qualche altro; quindi non mi movevo, e neppure mi mossi quando davvero qualcuno battè alla porta e alle domande di lei: chi è, chi è? rispose la voce di Martino.

Pallida come una morta, senza parlare, ella mi prese per un braccio e con gesti concitati mi costrinse ad entrare in un bugigattolo buio attiguo alla cucina: poi ne chiuse subito l’uscio ritirandone la chiave.

Fu il momento più terribile e ridicolo della mia vita, quello che d’allora in poi mi fece apparire la donna come una creatura infernale. Perchè, ragazzi, all’aprirsi ch’ella aveva fatto dell’uscio, dentro il camerino il-