Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/72

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poco. Quella sera, dunque, toccava ai Bilsini.

Quando Annalena andò ad aprirgli, ne sentì l’odore anche attraverso la serratura del portone; odore selvatico di uomo che vive a contatto con la terra e le bestie e considera le sue vesti come quelle il loro vello. Era infatti coperto di stracci, di pezzi di pelle, con le punte delle scarpe aperte come due grandi bocche dove le unghie dei piedi sporchi parevano denti di qualche bestia sconosciuta.

— Che hai fatto delle scarpe che ti ho dato l’altra settimana? — gli domandò severa la donna.

Egli le aveva vendute, per una bottiglia di lambrusco dolce, ma affermò recisamente che erano quelle che calzava.

— Si cammina, — disse, accennando una lunga strada con la mano fasciata di stracci.

Quando entrò nell’ingresso, i giovani lo circondarono, irridendolo ma senza cattiveria.

— Oh, chi si vede! Sembri Tom quando torna dalle sue scorribande primaverili.

E tutti risero; poichè Tom era il cane, che tutti gli anni, di maggio, spariva per tre o quattro giorni, in cerca di femmine, e poi tornava mogio mogio a casa.