Pagina:Annalena Bilsini, di Grazia Deledda, Milano, 1927.djvu/83

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— Be’, adesso basta: mi schiacci le uova che ho nelle tasche, — disse la ragazza, schermendosi quasi con ripugnanza.

— Come diavolo sei qui? — domandò lo zio Dionisio, guardandola da capo a piedi, davanti e di dietro, come per assicurarsi ch’era lei in persona. Anche gli altri, rivolti sulle loro sedie, la guardavano fra curiosi, stupiti e un tantino beffardi: ella sosteneva gli sguardi di tutti, sfidandoli coi suoi occhi turchini, piccoli ma di una luce quasi insostenibile. Il suo viso rotondo, con la bocca sensuale che pareva tinta, il naso all’insù ed una profonda fossetta al mento, era così roseo e sfavillante di gioia e di salute che gli altri visi, compresi quelli dei bambini, apparivano improvvisamente scialbi.

— Sì, sono proprio io, — disse avanzandosi e sbattendo lievemente i polli contro la spalla dello zio Dionisio, — la figlia del diavolo in persona, Isabella Mantovani.

Sbirciata la roba che Isabella portava in dono, anche Annalena si alzò e abbracciò forte la ragazza: questa però non corrispose a tanta espansione; i suoi sguardi, piuttosto, andavano con simpatia ai giovani e si fermarono sui bambini che a loro volta la fissavano come incantati: e, dopo aver lasciato in mano ad Annalena i doni, ella