Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/306

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12 delle antiche relazioni

macchinazione al suo comparire si tacciono, ed egli battendo le mani esclama: Ma che follia meditate voi? Lasciate partire il papa sano e salvo e non vi macchiate le mani di sangue; piuttosto credete a me, quando verrà la notte i Romani saranno sepolti nel sonno e nel vino, e senza che il vescovo nostro lo sappia, nascondiamo quanto più si può. Aperto poscia il luogo del tesoro lasciamo prendere al papa romano quanto gli aggrada. Piacque la proposta. Al papa che giunse nella notte i custodi delle chiese portarono tutte le chiavi ed apersero tutte le porte, ed egli prese quelle reliquie che non si erano potute nascondere, più nove bilancie cariche d’oro e molti arredi d’oro e d’argento. I cittadini, risaputa la spogliazione, volevano assalire il carro che portava i metalli preziosi, ma non osarono di farlo. Papa Stefano ottenne poi che fossero mandati a Roma tutti coloro che aveano voluto metterlo a morte in Ravenna. E costoro mandati colà furono messi in carcere e poscia uccisi. Ma il diacono Leone, secondo che pare, scampò solo dalla morte e divenne arcivescovo. Non trovo poi come Carlo sedasse la lite tra lui ed il papa sul dominio delle città occupate: il Codice Carolino riporta un’altra lettera di papa Adriano al re, nella quale lo prega di non far buon viso ai messi di Eleuterio e Gregorio che gli impedivano di amministrare la giustizia in Ravenna, e perfino nelle ’chiese commettevano omicidj, ma dell’arcivescovo non fa motto1.

Ma la prima radice di questa contesa fra il papa e l’arcivescovo stava, a mio credere, in questo fatto. Quando Carlo condusse l’esercito in Italia nell’anno 773, una parte ne mandò pel monte San Bernardo, ed egli stesso guidò l’altra pel Cenisio e la Novalesa. Giunto che fu alle Chiuse fra il monte Caprario ed il Picheriano, sul quale ancor oggi s’inalza il monastero di San Michele, s’imbattè nelle fortezze erette dai Longobardi i quali sì

  1. Fant. Mon. Rav., T. V, N.° 19,’ Ex Cod. Car. Car. LXXV.