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162 canto


28
     Miracol fu veder le fronde sparte
produr fuste, galee, navi da gabbia.
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
e remi avean, quanto alcun legno n’abbia.
Non mancò al duca poi chi avesse l’arte
di governarsi alla ventosa rabbia;
che di Sardi e di Corsi non remoti,
nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.

29
     Quelli che entraro in mar, contati fôro
ventiseimila, e gente d’ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro,
cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava l’armata ancora al lito moro,
miglior vento aspettando, che la porte,
quando un navilio giunse a quella riva,
che di presi guerrier carco veniva.

30
     Portava quei ch’al periglioso ponte,
ove alle giostre il campo era sí stretto,
pigliato avea l’audace Rodomonte,
come piú volte io v’ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del conte,
e ’l fedel Brandimarte e Sansonetto,
et altri ancor, che dir non mi bisogna,
d’Alemagna, d’Italia e di Guascogna.

31
     Quivi il nocchier, ch’ancor non s’era accorto
degli inimici, entrò con la galea,
lasciando molte miglia a dietro il porto
d’Algieri, ove calar prima volea,
per un vento gagliardo ch’era sorto,
e spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette e in loco fido,
come vien Progne al suo loquace nido.