Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/277

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     E disse e fece col villano in guisa
che, suo mal grado, abbandonò l’impresa;
sí che da lui non fu la serpe uccisa,
né piú cercata, né altrimenti offesa.
Adonio ne va poi dove s’avisa
che sua condizïon sia meno intesa;
e dura con disagio e con affanno
fuor de la patria appresso al settimo anno.

81
     Né mai per lontananza, né strettezza
del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
cessa Amor che sí gli ha la mano avezza,
ch’ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
È forza al fin che torni alla bellezza
che son di riveder sí gli occhi vaghi.
Barbuto, afflitto, e assai male in arnese,
lá donde era venuto, il camin prese.

82
     In questo tempo alla mia patria accade
mandare uno oratore al Padre santo,
che resti appresso alla sua Santitade
per alcun tempo, e non fu detto quanto.
Gettan la sorte, e nel giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fe’ scuse, pregò assai, diede e promesse
per non partirsi; e al fin sforzato cesse.

83
     Non gli parea crudele e duro manco
a dover sopportar tanto dolore,
che se veduto aprir s’avesse il fianco,
e vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
per la sua donna, mentre staria fuore,
lei con quei modi che giovar si crede,
supplice priega a non mancar di fede: