Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/478

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468 la scolastica.

Solo il nostro piovan, che la quaresima
Mi confessa; ma non mi sa decidere
Questo caso, chè, come voi, teologo
Non è. Sa un poco di ragion canonica.
Frate.Io vi offerisco, quanto si può estendere
Il saper mio, di darvi quel medesimo
Consiglio che per me mi tôrrei. Ditemi
Il caso vostro.
Bartolo.                      Io vel dirò. Già passano
Vent’anni, che in Milan stavo al stipendio
Del duca, ed in quel tempo alla medesima
Corte similmente era un altro giovane
Pur ferrarese; e insieme un’1 amicizia
Sì stretta avâmo, che paréa che fossimo
In due corpi un volere, un côre, un’anima.
Tenevasi costui quivi una femmina,
Di ch’ebbe una figliuola in quelli prossimi
Dì che le cose di Milan si volsero;
Chè il Moro abbandonò lo stato, e andòssene
Nella Magna.2 Or, fra gli altri gentiluomini
Che lo seguîr, Gentile ed io seguimmolo,
Chè Gentil avea nome questo giovene.
Gionto in la Magna, s’infermò gravissima-
mente Gentil, e mori; nè trovandosi
Altro amico o parente sì benivolo
Come gli er’io,3 mi lasciò erede in l’ultima
Sua volontade, e universal: ma fecemi4
Prometter, che qualvolta il tornar libero
Fusse a Milan, maritarci la femmina
Sua con dote e partito convenevole;
E che della fanciulla la medesima
Cura mi piglierei che del mio Eurialo,
Nudrendola e allevandola, et, al debito


  1. Non bene, quanto al metro, l’autografo: «che insieme.»
  2. Lodovico Sforza, cognominato il Moro, essendo occupato gran parte del suo stato da’ Francesi, si ritirò in Germania. Vedi Guicciardini, lib. IV. — (Molini.)
  3. Così ne’ due manoscritti, e nell’edizione del Barotti. Errore è certamente quello delle stampe più antiche: Com’egli et io; e correzione arbitraria e di mal gusto, la pensata dal Pezzana e seguita dal Molini: Come gli fui già.
  4. Sembra che a Gabriele stesso debbasi la lezione universalmente adottata nelle stampe: mi lasciò per l’ultima Sua volontade erede ma pria fecemi ec.