Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/179

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— Che cosa leggi di bello? — chiese egli prendendo in mano il volume che Noemi aveva posato sul piano del franklin, e leggendone il titolo sulla coperta — Questo è un romanzo...! — sclamò con voce sdegnosa — Ma non ti avevo pregata di non leggere questa sorta di libri?

Noemi godendo di stornar l’attenzione di suo marito... forse da altre idee, pensò di entrare in discussione, e rispose con una franchezza insolita:

— Mio caro Emanuele, io ho sempre creduto che t’intendessi di parlare dei romanzi cattivi e sopratutto dei romanzi francesi. Quello che hai in mano m’hanno detto invece che è buono, ed è, come puoi vedere tu stesso, italiano.

— Io non ho mai detto questo; — sclamò il Dal Poggio — per me, italiano o francese poco importa; e, quanto al buono od al cattivo, non so che cosa tu voglia dire; il romanzo per sè stesso non può essere che un libro cattivo.

— Ma tu non parli sul serio, Emanuele. Io non ho mai avuto la pretesa di discorrere a fondo di letteratura, ma un solo esempio mi basterebbe a mostrarti che hai torto...

— Oh Dio! So che cosa vuoi dire... Quegli eterni Promessi sposi! E che cosa provano del resto? Son fatti da un uomo che non conosce quasi le monete, e che da’ suoi scritti non ha mai ricavato da comperarsi un cappello.

— Non capisco, Emanuele, che cosa c’entri il guadagno d’un autore col merito del suo romanzo. A