Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/187

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Un secchio di acqua gelata sulla testa di un fanciullo capriccioso fa minor effetto di quello che facesse sul Dal Poggio l’ironica allegria di sua moglie. Ei ne fu così sconcertato, che, ritirata la mano, stette muto, indeciso, senza trovare una risposta, senza aver cuore di sdegnarsi. Nel tornare in sè si sentiva invaso dalla più terribile delle paure che possa assalire un uomo orgoglioso: la paura di esser ridicolo, e si trovava, senza saperlo, preso nei proprii lacci.

Quel momento di pausa e di silenzio fu prezioso per Noemi, la quale, mentre rideva di fuori, si sentiva, di dentro, morire. Ella si vedeva sul margine dell’abisso, giacchè se suo marito, con una dura parola le avesse troncata in bocca quell’ilarità e le avesse rinnovata la domanda, ell’era perduta.

Fortunatamente, come dissi, il Dal Poggio, tornato in sè, era rimasto perplesso fra i varii pensieri che gli agitavano l’anima ancor nuova alla passione: dispetto cocente di aver perduto in un tratto il vantaggio della propria posizione: paura del ridicolo che lo stoglieva dal continuar la scena in quel tragico modo: orgoglio e gelosia che gli vietavano di accondiscendere alla ilarità di Noemi e di riconoscere la propria debolezza.

— Non c’è nulla da ridere, mi pare; — diss’egli, adottando una mezza misura, peggiore assai di qualunque dei partiti estremi che gli si presentavano — Tu sai, Noemi, che io non amo che si prendano in ischerzo le mie parole; io non ischerzo mai.