Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/243

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— Povero angelo adorato! — sclamò il giovine, con uno di quegli slanci di gratitudine e di tenerezza, che nessuna penna può rendere meglio dell’imaginazione. E le baciava le mani con infinita passione. Poi come portato dal proprio entusiasmo proseguì a parlarle sotto voce con quel linguaggio ispirato, in cui l’anima si versa tutta, sincera, e ardente, colle voluttà del presente, coi pentimenti del passato, coi sogni dell’avvenire... Linguaggio assurdo, incoerente, ma pieno di poesia e di verità, perchè sgorga dal cuore, e va dritto a un altro cuore, che lo ascolta palpitando.

Noemi con un divino sorriso di felicità negli occhi e sulle labbra stava infatti ascoltando il suo amante, maravigliata di quella nuova adorazione, e di quel getto di vera e sentita tenerezza che l’avviluppava per così dire in un’atmosfera inebbriante di voluttà e di amore.

— Oh parla, Emilio, parla ancora; — disse ella quando il giovine tacque — Tu mi fai tanto bene... Parla ancora. Era tanto tempo che non mi dicevi queste parole. Se tu sapessi, Emilio, come ho bisogno di essere persuasa che mi ami.

Emilio a mani giunte, ripigliava:

— Vedi se ti amo!... non senti che la tua vita è la mia. Cara Noemi! Come potei farti soffrire pel passato? Ma non era io... Fui un infame... Vedrai d’ora innanzi come ti adorerò, come non penserò che a te sola... Noemi, Noemi, dimmi ancora che mi hai perdonato, dimmi che mi ami sempre.