Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/255

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secco, svogliato, a frasi tronche. Cristina, senza mostrare di andarsene, continuava con una vivacità ed una parlantina, che avrebbero fatto onore a qualunque deputato, finchè il servo, aperto l’uscio, annunciò la modista.

— Dille di entrare; — rispose la Firmiani; e voltasi al Dal Poggio ridendo — Vedrai che bella ragazza è la rivale di tua moglie...

— Cristina!

— Oh sta a vedere che non si possa proprio dir una sola parola in ischerzo con te!... Adesso poi, Emanuele, mi scuserai se le gravi cure della mia acconciatura mi chiamano a tutt’altro ordine d’idee.

La Gigia entrò.

Si vedeva ch’ella aveva pianto di recente; i suoi occhi erano gonfi e rossi di lagrime; le occhiaie profonde; la guancia più pallida del consueto. Un grande accoramento le stava dipinto ne’ tratti. Salutò Cristina con un mestissimo riverisco e fe’ un cenno di capo al Dal Poggio che la stava osservando con molta curiosità.

Il cappello che essa recava alla Firmiani fu provato, riprovato ed approvato. Cristina fece molti elogi lusinghieri al buon gusto della Gigia, poi mentre questa si disponeva ad andarsene:

— Dunque fanciulla, — le disse facendo l’occhiolino d’intelligenza al Dal Poggio — questo tuo Emilio Digliani ti vuol bene o non ti vuol bene?

All’udirsi ripetere quel nome, la Gigia fu scossa come da una scarica elettrica e il pianto le ricorse negli occhi.