Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/91

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«Ivi, nel mio paese, più d’una volta ebbi assistenza dal mio buon padre, che sopperì a quanto non potevano bastare la mia volontà e la mia attitudine al lavoro, e servì a mantenere il mio affetto pel luogo nativo, fino tanto che la necessità non mi spinse ad abbandonarlo per movere altrove in cerca di lavoro, colla speranza di mangiare in pace frutto delle mie fatiche.

«Per questo io rinunciai all’arte che avevo imparata e m’avventurai in questa impresa, certo che in altro modo non avrei potuto sostenermi.

«Eccomi dunque abbandonato a me stesso, costretto a ramingare per il mondo, ad esporre la mia vita minuto per minuto, colla prospettiva di un futuro non troppo lusinghiero.»

Nè mi si dica che, a parità di quant’altri forestieri trovarono lavoro nella mia patria, io avrei potuto, pazientando, ottenerlo, chè, anche nel 1870 al mio ritorno dall’Egitto, n’ebbi un’ultima prova. Anche allora io cercai lavoro presso tutte le fabbriche, nè mi riusci di ottenerne; anzi n’ebbi a ricevere sconforto e disillusione, venendomi risposto che: gente, la quale gira il mondo, non se ne prende.

Una tale risposta l’ebbi appunto da uno stabilimento tecnico triestino. Ma qui non è il caso d’una recriminazione, nè di cercar il motivo da cui abbia potuto derivare un sì strano procedere verso un uomo che avea collegato il suo nome e la sua qualità di triestino ad una spedizione giudicata importantissima da tutti, e che, in fin dei conti, aveva arrischiato, faticato e patito.

Lascio dunque di mettere in carta tante altre considerazioni ch’io feci in quella circostanza, e riprendo il filo della narrazione.

Alla dimane ci levammo che il sole era già alto;