Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/318

Da Wikisource.
268 capitolo xii.


Un guardiano della ferrovia ci faceva dei segni. Quando ci vide fermi gridò:

— Il ponte non c’è più! Il ponte è crollato!

Scendemmo. Era vero. Dal basso non avevamo potuto scorgere che del ponte solo la testata era rimasta. Un largo fiume impetuoso scorreva nel fondo.

— Come si passa? — chiedemmo al guardiano.

— V’è un guado, a valle. Prendete a destra, seguite il viottolo nella foresta, troverete qualcuno. C’è una stanitza vicino.

— Quanto è profonda l’acqua?

— Non lo so. Stamani sono passati dei carri.

— Che nome ha questo fiume?

— Bolshaja Rieka! — (Il fiume grande).

Seguimmo il viottolo, guadammo facilmente un fiumicello limpido, c’internammo per folti pittoreschi ingombri di piante rovesciate, e sboccammo sul letto sassoso della Bolshaja. Cercammo inutilmente il guado: il fiume era rapidissimo e profondo. Quando le nevi si sciolgono la Bolshaja Rieka deve essere spaventosa. Larghissima, vorticosa, essa strappa alla montagna alberi e macigni, e li trasporta, li rotola, li spezza. Tutto il suo letto era pieno di tronchi giganteschi, di ceppi, di rami, trascinativi dal furore delle acque, un’intera foresta morta e buttata là con un grandioso disordine di sconfitta. Dall’altra parte del fiume vedevamo i tetti di alcune isbe. Un giovane mujik, dal berretto con la banda gialla da cosacco, guidando una telega, emerse dal bosco, dalla nostra parte. Si fermò a guardarci, salutando.

— Dove è il guado? — gli chiedemmo.

— Ora lo passo. Venite con me.

Ci fece risalire la riva per un mezzo chilometro, rientrando per un tratto nel bosco. Poi ritornammo verso la corrente e ci disse:

— È qui. Guardate bene dove passo io. Bisogna scendere nella corrente di traverso, fino a quel punto. Non deviate mai....

Ci dava queste spiegazioni amichevolmente, con quell’aria