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Pietro Bembo - Rime

mi s’avicina e, chi di fuor traluce,
né rifugge da lei né si difende:8

ch’ogni pena per voi gli sembra gioco,
e ‘l morir vita; ond’io ringrazio Amore,
che m’ebbe poco men fin da le fasce,11

e ‘l vostro ingegno, a cui lodar son roco,
e l’antico desio, che nel mio core,
qual fior di primavera, apre e rinasce.14

CXXIV.

Così mi renda il cor pago e contento
di quel desio, ch’in lui più caldo porto,
e colmi voi di speme e di conforto
lo ciel, quetando il vostro alto lamento,4

com’io poco m’apprezzo, e talor pento
de le fatiche mie, che ‘l dolce e scorto
vostro stil tanto onora, e sommi accorto
ch’amor in voi dritto giudicio ha spento.8

Ben son degni d’onor gl’inchiostri tutti,
onde scrivete, e per le genti nostre
ne va ‘l grido maggior, che suon di squille.11

Però s’aven che ‘n voi percota e giostre
l’empia fortuna, i sospir vostri e i lutti
sì raro don di Clio scemi e tranquille.14

CXXV.

Cingi le costei tempie de l’amato
da te già in volto umano arboscel, poi


Letteratura italiana Einaudi 76