Pagina:Boccaccio - Filocolo di Giovanni Boccaccio corretto sui testi a penna. Tomo 1, 1829.djvu/356

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dolente, lasciò la madre piangendo nella camera, e, rivestito d’altre robe, venne nella gran sala, là ove egli molti di tale accidente trovò che parlavano. Egli si fece quivi chiamare il vecchio Ascalion e Parmenione e Menedon e Messaallino, a’ quali elli disse così: Cari amici e compagni, quanta forza sia quella d’amore a niuno di voi credo occulta sia, però che ciascuno, sì com’io penso, le sue forze ha provate. E là dove questo non fosse, manifestare vi si puote, se mai di Elena, o della dolente Dido, o dello sventurato Leandro e d’altri molti avete udito parlare: i quali chi l’etterno onore con vituperevole infamia non curava d’occupare, chi di perdere la propia vita si metteva in avventura per pervenire a’ disiati effetti, e chi una cosa e chi un’altra facea per venire al disiato fine. E ultimamente, ove a tutti i detti essempli di sopra mancasse per lungo trapassamento di tempo degna fede, in me misero si puote la sua inestimabile potenza conoscere, il quale dagli anni della mia puerizia in qua ho tanto amato e amo Biancifiore, che ogni essemplo ci sarebbe scarso. E certo in alcuno amore i fati non furono mai tanto traversi quanto nel mio sono stati, però che sanza alcuno diletto infinite avversità me ne sono seguite, e ora in quelle più che mai sono. E che l’amore di Biancifiore abbia sopra me grandissima forza e muovami a grandi cose, potrete appresso per le mie parole comprendere. Come io v’ho detto, dalla mia puerizia fu Biancifiore amata da me: del quale amore non prima il mio padre s’avvide, che sotto scusa di mandarmi a studiare, mandandomi a Montoro, da lei mi dilungò, pensando che per lontanarmi ella si