Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/241

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epistola 71

d’Orfeo, di Platone, d’Aristotile, d’Omero, di Varrone, di Sallustio, di Tito Livio, di Cicerone, di Seneca e d’altri simili; acciocch’io lasci quelli de’ santi uomini più degni di loda, perocchè è altra operazione. E a volere essere nobilitato di così fatti titoli, con molta fatica si fa quello, perchè si va nelle composizioni, dalle quali altri è nel chiaro lume condotto. Di queste cose niente trovo fatto dal tuo Mecenate: sento nondimeno, a lui essere una ammirabile attitudine nella litteratura, a lui da natura stata conceduta. Ma che pro’ fa avere l’attitudine, e dispregiarla? e avere rivolto in atti molto diversi quello che dovea rivolgere negli studi delle lettere? E che che si dica il suo Coridone, le cose vulgari non possono fare uno uomo letterato; nondimeno dalla pigrizia vulgare possono alquanto separare uno uomo studioso, e in alcuna agevolezza guidare a’ più alti studi, i quali avere levato questo uomo dalla feccia plebeia non negherò: a quelli che sono di fama degni essere condotto, non confesserò; perocchè in nullo santo studio lui mai avere studiato è cosa manifesta.

So nondimeno essere di quelli che vogliono, ed egli non lo sconfessa, lui avere scritte molte lettere volgari, le quali alcuna volta stima di tanto pregio, che quella che ad uno arà mandata, quella medesima a molti in ogni parte manda, acciocchè la eloquenza del petto suo possente, per testimonio di quelle, si manifesti; delle quali molte ne vidi, attendendo piuttosto ad ornato parlare secondo l’usanza sua, che a fruttuoso; per la qual cosa, benchè