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stizzirsi, che si possa esilararsi a cagione dei suoi frizzi o delle sue sortite di un comico impareggiabile; ma, lo ripetiamo, malgrado tuttociò l’argomentare del Mellana e serrato, e se avvi un difetto nella corazza del proprio avversario, ei lo distingue, e vi fere o di punta o di taglio in modo che arriva a toccare la parte viva. E il conte di Cavour che l’ha sempre avuto contro, non mancava di aggrottare talvolta le sopracciglia, quando vedeva il Mellana sorgere a combattere una qualche sua proposta.

Dobbiamo però constatare che dopo la morte del grand’uomo la verve del Mellana sembra alquanto diminuita, e ove si eccettuino i due discorsi da esso proferiti l’uno contro il ministero Ricasoli, nella famosa seduta serale in cui tirò fuora quel tal dispaccio anonimo sulla dimissione del Lamarmora, e l’altro pronunziato in difesa del crollante ministero Rattazzi (che a dir vero fu giudicato inferiore alla circostanza ed all’uomo) si può dire che non siasi più ascoltato tuonare con la primitiva energia e coll’antico successo la rauca voce del campione del terzo partito. Ciò non toglie ch’ei non abbia presa una certa tal qual parte nelle discussioni avvenute in seno alla Camera a proposito delle ultime leggi finanziarie; ma in verità si può assicurare che le orazioni dette in tali occorrenze dal Mellana non raggiungessero affatto quell’apice di sottile, piccante, satirico e veemente ragionare, ond’ei si distingueva cotanto nei trascorsi tempi.




FENZI EMANUELE


senatore.


È un banchiere egli pure e che ha saputo ammassare una considerevole fortuna, senza aversi a rimproverare di quelle azioni o di quelle operazioni louches che troppo di frequente gettano qualche ombra sopra lo splendore degli uomini di finanza.