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che gli affidò la rischiosa e importante missione di recarsi presso il magnanimo re Carlo Alberto, onde impetrarne un pronto ed efficace soccorso. E diciam rischiosa missione, perchè effettivamente il conte Annoni ebbe d’uopo di tutta la propria energia e presenza di spirito onde superare ed evitare gli ostacoli che in quel subbuglio e sconvolgimento generale se gli opposer per via, e sopratutto al confine.

Pervenuto a Torino, egli fu tosto ammesso alla presenza dell’augusto monarca, che gli fece tale un accoglimento gentile da compensarlo ampiamente di tutti i disagi sofferti in cammino, e dei pericoli corsi e schivati.

Se non che, udito quanto esponeagli e ne impetrava l’Annoni, il futuro martire d’Oporto gli confidò trovarsi nel più crudele imbarazzo, mentre per intraprendere una spedizione di tanto momento qual si era quella che gli veniva proposta, aveva appena disponibile un corpo di 5,000 uomini.

— Vostra Maestà non si metta in pena di ciò, risposegli rispettosamente, ma con tutta energia l’inviato lombardo; un porta-bandiera e un tamburo piemontesi che oltrepassino il Ticino, mandati dal re di Sardegna, bastano per ora a tenere a bada gli Austriaci. Son talmente convinto della verità di questa mia asserzione ch’io m’offro, sire, a rimanermi qui in ostaggio, fintantochè il fatto non lo giustifichi appieno.

Carlo Alberto, lodando il patriottico ardimento dell’Annoni, lo rinviò a Milano portatore delle più formali promesse d’ajuto.

Ma un crudel disinganno, foriero, ahimè! fin da quel punto degli erramenti e dei guaj avvenire, attendeva al suo ritorno in patria il conte di Cerro.

La sventura non aveva ancora abbastanza ammaestrati alla rude sua scuola gl’Italiani, e quel grande assioma che fin d’allora purtanto correva sulle bocche di tutti: onde aver la forza esser mestieri possedere l’unione, non moderava ancora la condotta dei più.

L’orgoglio d’un successo, di cui il merito non apparteneva loro gran fatto, avea di soverchio esaltate le menti di alcuni dei reggitori della cosa pubblica