Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/111

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di teocrito 101

     Ond’io pian pian teco favelli, o Dea,
     E con Ecate inferna, ond’hanno orrore
     I cagnoletti allor, che per le tombe
     Va degli estinti, e il sangue atro calpesta.
     Salve, Ecate tremenda: al fianco stammi
     Fino all’estremo, e fa, che i miei veneni
     A quei non cedan di Medea o di Ciroe,
     Nè a quelli della bionda Perimeda.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
     La farina sul fuoco è omai disfatta.
     Ah! spargila, codarda. Ov’hai la mente?
     Forse, iniqua, anche a te gioco divenni?
     Spargila, e di’: L’ossa di Delfi io spargo.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
     Delfi me crucia, ed io su Delfi accendo
     Il lauro, e com’ei crepita combusto
     Da forte incendio, e ratto va in faville
     Senza lasciar pur cenere, la carne
     Così di Delfi si dilegui in fiamme.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
     Com’io vo stemperando questa cera
     La divina mercè, così d’amore
     Si stemperi ben tosto il Mindio Delfi.
     Come questo palèo di rame gira,
     Per opra di Ciprigna anch’ei non meno
     Intorno alle mie soglie ognor s’aggiri.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno,
     Or farò della crusca il sagrifizio.
     Ben tu, Cintia, piegar fin Radamanto
     Puoi nell’Averno, e s’altro v’ha più saldo.
     Latran le cagne per città. Ne i trebbi
     Certo è la Diva. Ah! suona tosto il rame.
Cutretta, deh! lui traggi al mio soggiorno.
     Ecco già tace il mar, tacciono i venti,
     Pur nel mio petto il mio dolor non tace;
     Ma tutta ardo per lui, che me non moglie