Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/135

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di teocrito 125

Sì dissi. Ei, sorridendo come pria,
     Diemmi in premio del canto il suo vincastro.
     Poi piegando a sinistra la via prese
     Vêr Pissa; io con Eucrito e il vago Aminta
     A casa ci avvìam di Frasidamo.
     Ivi su letti ben cedenti al basso
     Di molle giunco e pampani ben freschi,
     Festosi ci adagiammo, e a noi sul capo
     Scotean lor rami i folti pioppi e gli olmi.
     E colà presso fuor d’un antro uscìa
     Mormorando un ruscel sacro alle Ninfe.
     Su i frondosi arbuscelli le cicale
     Innamorate del calore estivo,
     Faticavan nel canto, e la calandra
     Stridea da lunge fra spinose macchie.
     Cantavan lodolette, e cardellini,
     La tortora gemea, scorreano a volo
     L’api dorate intorno alle fontane.
     Tutto spirava un’ubertosa estate,
     Spirava autunno. Largamente ai lati
     Ruzzolavan le mele, ai piè le pere,
     E curvi i rami di susine carchi
     Scendeano a terra. Dalle botti il vino
     Del quarto anno spillava. O voi, Castalie
     Ninfe, custodi del Parnasio giogo,
     Vedeste mai, che nel petroso speco
     Di Folo un nappo tal Chirone antico
     Ponesse innanzi Alcide? o quel sì forte
     Pastor d’Anapo, che scagliava i massi
     Polifemo a danzar per le sue stalle
     Un nettare invogliò pari a quel vino,
     Cui dell’Areal Cerere agli altari
     Apriste, o Ninfe, allor sì larga via?
     Voglia il Ciel, ch’io di nuovo in sì gran massa
     La pala cacci, e ch’ella rida avente
     Ad ambe man papaveri, e covoni.