Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/134

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124 idilli

     Ha per entro le viscere. Ben sallo
     Aristi, il grande Aristi, il qual, cred’io,
     Febo medesmo non avrebbe a sdegno,
     Che a’ tripodi cantasse a suon di cetra,
     Quanto mai per amor d’un garzoncello
     Arde nell’ossa Arato! Ah Pan! che in sorte
     L’amabile terren d’Omola avesti,
     Tu nelle care man gliel’assecura,
     Senza che il chiami, o il tenero Filino,
     O qual altro egli sia. Se in ciò t’adopri,
     Caro Pan, non mai gli Arcadi fanciulli
     Ti flagellino gli omeri, e le coste
     Con squille allor, che poche carni avrai
     Sull’are tue. Ma se nol fai, deh! possi
     Sbranato esser dall’unghie in tutto il corpo,
     E dormir fra le ortiche e a mezzo il verno
     Star sugli Edonj monti in faccia all’Ebro
     Vicino all’Orsa, e pascolar l’estate
     Nell’Etiopia estrema alla spelonca
     De’ Blemj, onde veder non puossi il Nilo.
     Ma voi lasciate omai le placid’acque
     Di Jeti e Bibli, voi, che albergo avete
     Nei tetti alteri di Diona bionda,
     Amoretti simili a rosse mele,
     Il vezzoso Filin ferite d’arco,
     Feritel pur, che nulla sente il crudo
     Del mio diletto amico in sen pietade.
     Bench’ei più d’una pera, è già maturo,
     E gli dicon le donne: ahi! ahi! Filino,
     Il tuo bel fior si perde. Or non più vegghia
     Facciasi, Arato, a quelle porte, e il piede
     Non più si stanchi. Il mattutino gallo
     Alto crocciando a sì noiosi tedj
     Costringa, e Molon solo in questa lotta
     Si strangoli. A noi caglia del riposo.
     Ed una vecchierella a noi sia presta,
     Che ogni male sputando ne distorni.