Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/133

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di teocrito 123

     Soneranmi la piva, e lì vicino
     Titiro canterà, come il bifolco
     Dafni amò Senea un giorno, e come tutto
     Girava il monte, e lo piagnean le querce,
     Che nate sono al fiume Imera in riva,
     Allor quand’ei si disfacea qual neve
     Per l’alto Emo, e pel Rodope, o per l’Ato,
     O pel Caucaso estremo; e dirà poscia,
     Com’ampia cassa per nequizia insana
     Del suo padrone il Caprar vivo accolse,
     E come gìan da i prati a pascolarlo
     Coi tenerelli fior le sime pecchie
     Volando a un grato cedro, onde la Musa
     Soave gli stillò nettare in bocca.
     Fortunato Comata, a te serbate
     Fur sì belle venture. Entro la cassa
     Chiuso, e pascendo delle pecchie i favi,
     Della stagion prefissa al fin giugnesti.
     Deh fossi stato ai giorni miei fra’ vivi!
     Per te le belle capre avrei pasciuto
     Sui monti al suon della tua voce intento;
     E tu, divin Comata, o sotto querce
     Colcato, o sotto pin tessuto avresti
     Note soavi. - Qui diè fine al canto.
     Ed io ripresi: O Licida diletto,
     Molte cose pur anco a me insegnaro
     Le Ninfe allor, ch’io gìa pascendo al monte,
     Leggiadre cose, che di Giove al trono
     Forse la fama riportò. Fra tutte
     Quella è solenne, ond’io m’appresto a farti
     Or un bel dono. E tu, che delle Muse
     Amico sei, m’ascolta. A Simichida
     Starnutaron gli Amori, all’infelice,
     Che tanto ama Mirton, quanto le capre
     Aman la primavera. Arato, il suo
     Maggior amico, d’un garzon l’amore