Soneranmi la piva, e lì vicino
Titiro canterà, come il bifolco
Dafni amò Senea un giorno, e come tutto
Girava il monte, e lo piagnean le querce,
Che nate sono al fiume Imera in riva,
Allor quand’ei si disfacea qual neve
Per l’alto Emo, e pel Rodope, o per l’Ato,
O pel Caucaso estremo; e dirà poscia,
Com’ampia cassa per nequizia insana
Del suo padrone il Caprar vivo accolse,
E come gìan da i prati a pascolarlo
Coi tenerelli fior le sime pecchie
Volando a un grato cedro, onde la Musa
Soave gli stillò nettare in bocca.
Fortunato Comata, a te serbate
Fur sì belle venture. Entro la cassa
Chiuso, e pascendo delle pecchie i favi,
Della stagion prefissa al fin giugnesti.
Deh fossi stato ai giorni miei fra’ vivi!
Per te le belle capre avrei pasciuto
Sui monti al suon della tua voce intento;
E tu, divin Comata, o sotto querce
Colcato, o sotto pin tessuto avresti
Note soavi. - Qui diè fine al canto.
Ed io ripresi: O Licida diletto,
Molte cose pur anco a me insegnaro
Le Ninfe allor, ch’io gìa pascendo al monte,
Leggiadre cose, che di Giove al trono
Forse la fama riportò. Fra tutte
Quella è solenne, ond’io m’appresto a farti
Or un bel dono. E tu, che delle Muse
Amico sei, m’ascolta. A Simichida
Starnutaron gli Amori, all’infelice,
Che tanto ama Mirton, quanto le capre
Aman la primavera. Arato, il suo
Maggior amico, d’un garzon l’amore