Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/149

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ILA.

Idillio XIII

Non per noi soli (qual credemmo), o Nicia,
     Fu generato Amor da quel fra i Numi,
     A cui nacque tal figlio; e noi mortali,
     Che il domane ignoriam, non siamo i primi,
     Cui bello appaja il bello. Anche il figliuolo
     D’Anfitrion, che un cuor di bronzo avea,
     E saldo incontro a fier lion, del vago
     Ila garzon d’inanellata chioma
     Invaghissi, e qual padre un caro figlio
     In tutto quel l’instrusse, ond’egli stesso
     Ammaestrato si fe prode, e chiaro.
     Da lui diviso unqua non era, e quando
     Il mezzo-giorno poggia, o quando l’alba
     Su’ destrier bianchi alla magion di Giove
     Sen corre, o quando i queruli pulcini
     Giran gli occhi a’ pollai, battendo l’ali
     La madre su la trave affumicata.
     Tutto perchè il garzone a suo talento
     Instrutto, ed al suo fianco esercitato
     Uom degno si formasse. Or quando il corso
     L’Esonide Giasone al vello d’oro
     Prese, e il seguir d’ogni cittade eletti
     I più destri al grand’uopo, il figlio ancora
     D’Alcmena Mideatide Eroina,
     Nelle fatiche saldo, in via si pose
     Verso la ricca Giolco, e con lui dentro
     La ben contesta nave Ila discese.
     La qual non toccò già le Gianée
     Cozzanti insieme, ma fra quelle ratta
     Passando qual’aguglia, un vasto mare,
     Entrò nell’alto Fasi, e da quel tempo