Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/150

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     Restaro immoti que’ due scogli. Or quando
     Si levano le Plejadi, e gli estremi
     Campi dan pasco a’ teneri agnelletti
     Sul fin di primavera, a quel d’Eroi
     Divino fior di navigar sovvenne,
     E ben schierati nella concav’Argo.
     Il terzo giorno allo spirar di Noto
     Entrar nell’Ellesponto, ed approdaro
     Alla Propontida, ove i buoi l’aratro
     Esercitando imprimono gran solchi
     Nel terren de’ Ciani. Ivi sul lido
     Usciti vèr la sera a torma a torma
     Allestivan la cena, e molti un letto
     Comune in terra distendean; chè un prato
     Gran comodo a far letti ivi porgea.
     Indi butomo acuto, indi segaro
     Alto cipero. Andossene Ila il biondo
     Con un vaso di rame a cercar acqua
     Da cena per recarla ad esso Alcide,
     E al prode Telamon, ch’entrambi sempre
     Ad una stessa mensa eran compagni.
     Ben tosto si fu accorto in basso piano
     D’un fonte, che gran foglie avea d’intorno,
     Azzurra celidonia, adianto verde,
     Tortuosa gramigna, appio fiorente.
     Ordìan le Ninfe in mezzo all’acqua un ballo,
     Ninfe vegghianti, e dive a’ villanelli
     Tremende, Eunica, Malide, e Nichea
     Dal bel guardo gentil di primavera.
     Stava il garzon con la capace brocca
     Già pronto in atto ad attuffarla in acqua.
     Tutte allora alla man se gli avvinchiaro,
     Chè a tutte amor del giovinetto Argivo
     Velato avea le tenerelle menti.
     A piombo ei ruinò nelle fosc’acque,
     Siccome quando una raggiante stella