Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/163

Da Wikisource.

LE GRAZIE, OVVERO GERONE.

Idillio XVI

L’alme Figlie di Giove, e i Vati ognora
     Fanno lor cura il celebrar gl’Iddii,
     E de’ prodi mortali ogni bel vanto.
     Le Muse Dee cantando van gli Dei;
     Noi mortali cantiamo i buon mortali.
     Ma chi fra quanti mai soggiorno fanno
     Sotto la glauca Aurora alle mie Grazie
     Le porte aprendo accoglieralle in casa
     Cortesemente, nè di don fraudate
     Respingeralle? onde qua poi crucciose
     Tornando, ed a piè scalzi alto romore
     Fan, ch’io le danni a inutili viaggi,
     E schive in fondo a un’arca vôta, ov’hanno
     Ricetto vil, quando riescon vani
     I lor disegni, se ne stan battendo
     Il capo sulle frigide ginocchia.
     Chi v’ha mai tale a’ nostri dì che in pregio
     Tenga un buon parlator? Nol so. Qual pria,
     Or non più certo agognano i mortali
     D’esser lodati per magnanim’opre.
     Ma, vinti dal guadagno, ciascun tiensi
     Le mani in sen, guatando ov’egli possa
     Raccorre argento; e non darebbe altrui
     Nè pur la scoria, e tostamente ha in bocca:
     Lo stinco è più lontano del ginocchio.
     Io vo’ bene a me stesso. I Numi onore
     Facciano ai Vati. Omero basta a tutti.
     Chi gli altri curerà? Di tutti quanti
     Quest’è il miglior che non m’intacca in nulla.
     Miseri! e che mai val riposto in cassa
     Oro infinito? Ah! non quest’uso i saggi