Pagina:Callimaco Anacreonte Saffo Teocrito Mosco Bione, Milano, Niccolò Bettoni, 1827.djvu/184

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     Le invitte membra, ed il color più vivo.
     Ma come al fin di Giove il figlio oppresse
     Il vorace gigante, ah! tu, che il sai,
     Dillo, tu Dea. Come a te giova, e piace,
     Narrator fido ridirollo altrui.
Accinto a una gran prova Amico afferra
     Con la sua manca mano a lui la manca,
     Schivandone l’assalto obbliquo, e chino.
     Dal destro fianco alzato il grosso braccio
     Su lui con l’altra s’abbandona, e guai
     Al re Amicleo, se mai giugnealo il pugno.
     Ma col capo di sotto se gli tolse,
     E con la salda man sotto la tempia
     Sinistra il colse, e gli saltò sul tergo.
     Spicciava dalla tempia boccheggiante
     L’atro sangue; ei pestava con la manca
     La bocca, e i folti denti sgretolaro.
     Doppiando a mano a man più duri i colpi
     Sfregiavagli la faccia, e tutte infine
     Le guancie sfracellógli. Ei steso in terra
     Disanimato, ed omai presso a morte,
     Cedendo ambe in un tempo alzò le mani.
     Nè già tu allora, o vincitor Polluce,
     Alcun gli festi oltraggio. Indi con forte
     Giuro a te protestò, dal mar chiamando
     Nettuno il genitor, che per l’innanzi
     Non più farebbe a’ viandanti oltraggio.
Tu, signor, se’ lodato. Or io cantando
     Te, Castore, verrò, Tindaria prole,
     Veloce cavalcante, armato il petto
     Di fino usbergo, agitator di lancia.
Rapite si recavano i due figli
     Di Giove le due figlie di Leucippo.
     Correano dietro a lor rapidamente
     I duo Germani figli d’Afareo,
     Ch’eran già fissi alle fanciulle sposi,