Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Fuggì l’Arcade terra e il sacro monte
D’Auge, fuggì Peloponeso in uno, 12
E di Fenèo il vecchiarello fonte.
Egìalo ed Argo non fuggì soluno,
E non trasse Latona a quel terreno,
Che dell’Inaco il corso è sacro a Giuno.
Fuggì l’Aonia, e via con lei fuggieno
E Dirce e Strofia come avesser’ali
Strette alla man dell’arenoso Ismeno.
Con elle Asopo, e non con passi uguali, 13
Ma lento e zoppicando a tergo sprona,
Siccome tocco da superni strali.
Le danze per timor Melia abbandona, 14
Che la scorza materna e le native
Mira ondeggiar pendici d’Elicona.
Ditemi, o Muse mie, dilette Dive,
Produce un parto una medesim’ora
Driadi e querce per selvagge rive?
Se Giove il crin della foresta infiora
Godon le ninfe, e se di foglie è nuda,
Dolenti ed egre ciascheduna plora.
Ancorchè nel materno alvo si chiuda,
Febo si accende alle magnanim’ire,
E a Tebe fa questa minaccia cruda;
Tebe, Tebe infelice, qual desire
Hai di sapere il tuo destino tristo,
Perchè mi sproni mal mio grado a dire?
Del tripode di Pizia io non acquisto
Le sedi ancora; le pilose gote
Dell’orrid’angue che strisciò da Plisto, 15
Non sanno ancor con che piaga percote
La mia faretra, ei tuttavia circonda
Il Parnaso nival con nove rote.
Pur dirò ver più che di lauro fronda:
Fuggi quantunque sai, le mie quadrella
Io laverò del sangue tuo nell’onda. 16