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246 sulla tomba di alessandro poerio


Nelle felici età, quando più forte
     La virtù greca e l’ira ardea nei cuori,50
     Rimanevan le donne entro le porte
     L’urne de’ prodi a coronar di fiori:
     Gli uomini chiusi in trionfal coorte
     Uscian gli estinti a vendicar di fuori;
     Poscia tornando dal sanguigno agone55
     Cingean quell’urne e v’appendean corone.

Sia delle donne il pianto: a noi le spade
     Splendan nel pugno, a noi parli vendetta:
     Forse matura non tornò l’etade?
     Che si spera, o speranti, e che si aspetta?60
     Speriamo or noi che l’Itale contrade
     Difenda Iddio coll’immortal saetta?
     Cogli operosi è Dio, nè volge il guardo
     Sull’affanno del pigro e del codardo.

Potea d’un cenno dal Caos profondo65
     Chiamar la terra, e sette dì pur volle:
     Potea redimer con un guardo il mondo;
     E diede sangue sul nefando colle:
     Onnipotente, Ei sobbarcossi al pondo
     De la fatica, e imporporò le zolle;70
     E noi misero fango, abbietti vermi,
     Vogliam francarne sonnolenti e inermi.

Di forza i lombi Ei non ne cinse invano,
     Non ne die’ braccia a trascinar catene;
     Nè vanamente questo incendio arcano75
     Di libertà ne pose entro le vene;