Pagina:Capella - L'anthropologia, 1533.djvu/153

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LIB. III.

spiacere: l'ambitione, l'invidia, l'ira, la cupidigia della robba: le quali mai mancano di pungerne, giunti che siamo alla più salda età. Quanto credete sia il cruccio di coloro, i quali niuna fortuna, niun grado d'honore può contentare? Lungo sarebbe il recitare i travagli, et tormenti loro: ma assai si può conoscere per le fatiche et sudori di quelli, che hanno acquistato i regni et Prencipati. Leggete di Cyro il maggiore, et del minore: d'Alessandro il magno: di L. Sylla, et di C.Cesare Romani: di Francesco Sforza: d'Alfonso d'Aragona, et di molti altri: et sie manifesto per quante angoscie passano quei che da cupidità d'honore stimolati non si contentano della mediocre Fortuna. L'invidia senza alcun frutto è di maggior pena. percioche del ben d'altrui gl'invidiosi hanno male: dell'abbondanza impoveriscono: del piacer s'affligono: et è errore che con seco porta la penitenza senza che veruno gli n'habbia compassione. Che dirò del'ira? la quale in Achille fu tanta, che mise tutto l'hoste de Greci più volte in estremo periglio? spinse Alessandro ad occider i più cari amici? che tante città ha distrutte? di tante morti d'huomini è stata cagione? tal che colui tra gli altri si può tener savio, che meglio la sa raffrenare. La cupidità delle ricchezze parimente non è senza grave noia: et quelli che ò per lasciar più ricchi i figliuoli; ò per viver più splendidamente; ò per esser appò gl'ignoranti in maggiore stima, si sforzano aumentar le facultà, quanti disagi patiscono? quanti pericoli corrono? acciò possano il lor ingordo disiderio satiare. Seguita à dietro la ricchezza piena d'infermità, lamentevole,