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CARTESIO.



Non deve recar maraviglia se fra gli uomini, che di sè hanno lasciato gran fama di pubblica utilità, vien messo Cartesio. Gli è vero che rispetto alle cose materiali i filosofi non recano di molti beni, essendo che tali cose non sono da loro; ma sì ne recano di molte e grandi rispetto all’ordine delle cose intellettuali e morali; ed il filosofo, la cui vita voglio toccare, ha, secondo mio avviso, meritato assai degli uomini, avendo con nuovi trovati insegnato loro a pensare: nè altresì alcuni de’ suoi errori non tornarono vani, siccome quelli, che misero per la via di molte e rilevanti verità, chi ebbe la gloria di ben ripensarli.

Renato Cartesio di nobile famiglia, nacque a Lahaye in Turenna il 31 marzo 1596. Egli venne messo nel collegio de la Flêche tenuto dai Gesuiti, a studiarvi matematica e filosofia; nelle quali cose tanto si fe’ innanzi, che diede per tempo a conoscere a qual segno mirasse l’altezza del suo ingegno. Egli in luogo di farsi legge di ogni sentenza di Aristotile, come si soleva usare, vi faceva sopra di molte chiose e comenti; e trovando la logica de’ suoi maestri piena di vani concetti, diedesi a tutt’uomo a trarne il buono, come, secondo che usava dire, lo scultore da un masso informe di marmo trae una Minerva: per le quali cose, quantunque fosse giovane di pochi anni, si accattò il nome di filosofo. Per la sua cagionevole salute gli fu concesso dai Gesuiti di stare in letto fino a tard’ ora, nel qual tempo, coll’animo tutto volto a’ suoi studii, faceva di molte meditazioni, le quali tornarono a bene per la maggior parte de’ suoi trovati.

Uscito di collegio lasciò i libri, perchè trovava in essi errori di convenzione senza più: e mise molto studio a scan-

cellare dalla mente tutto che per la ragione e per l’esperienza non gli si mostrava chiaro e giusto; e, a quanto signori Biot e Feuillet nella loro Biografia universale fanno di lui menzione, sembra che fosse allora che trovasse il metodo dell’esame, e del prudente dubbio, il quale ora si è fatto il principio di ogni nostra conoscenza, la cui utilità noi, siccome fummo nudriti in questa naturale e ragionevole dottrina, non giugneremo mai a conoscere, nè altresì quanto egli a ciò penasse, se non rechiamo alla memoria che quando vivea Cartesio, il sol muover dubbio sui princìpi di Aristotile era sì grande e nuovo ardire, che veniva per poco tenuto quasi un delitto.

Come la nobiltà del suo stato richiedeva, egli in Olanda di suo propri volere, ed a sue spese servì all’onore delle armi sotto il valente Maurizio di Nassau, non mettendo però in non cale le sue meditazioni intorno alle scienze Essendo a guernigione in Breda gli vennero vedute di molte persone, che leggevano un cotale avviso in fiammingo; ma non conoscendo siffatta lingua, richiese piacevolmente uno de’ circostanti a volerglielo spiegare. Questi fu il matematico Bukman, il quale, preso da maraviglia vedendo un militare darsi tanta cura di cosa scientifica, stando in sul grave gli rispose: Quello essere un problema matematico, che (come i tempi portavano) un privato proponeva a suoi compagni di geometria; e glielo spiegò. Cartesio, avuta la risposta, senza metter tempo di mezzo promise al prefato di portargli la soluzione del problema; e tenne fede: perciocchè il dì dopo fu a lui col problema risolto, facendo così conoscere quanto il militare in sui vent’anni sentisse, in fatto di geometria, più innanzi de professore di