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che il Farini affibbia all’Orioli, senza tanti complimenti, l’epiteto di celebre addirittura1; la bisogna procederebbe diversamente se si porgesse orecchio a ciò che altri asserisce intorno all’Orioli, che parliero infaticabile, voleva saper tutto e nulla approfondiva2 e che era uno di quelli che, essendo scappato rivoluzionario d’Italia nel 1831, era ritornato pentito, e l’ingegno, nobile nella scienza, ignobilitava coll’adulazione al potere3.


  1. F. A. Gualterio, op. cit., vol. VI, cap. XII, pag. 165, e L. C. Farini, op. cit., vol. I, lib. II, cap. III, pag. 185.
  2. C. Cantù, Cronistoria, vol. II, cap. XXXI, pag. 285.
  3. A. Saffi, op. cit., cap. III, pag. 62. Il qual giudizio dell’immacolato Saffi nou parrà severo a chi conosca bene la posteriore condotta politica dell’Orioli stesso, che, da moderato, si mutò ancora in devoto al Pontefice, come risulta da una sua dichiarazione, stampata nel 1850 nel volumetto: Opuscoli politici di Francesco Orioli, Roma, tipografia delle Belle Arti, 1850, nella quale è detto:

    «Per altra parte, a me tocca ricomperare il tempo perduto, ed affrettarmi a farlo. Troppo mi dorrebbe di lasciare di me tale memoria in questo mondo che dia giusto diritto a suppormi quale certe antecedenti particolarità della mia vita possono aver fatto credere che io mi sia. Non nego, e sarebbe ridicolo il negarlo, d’aver avuto anch’io le mie politiche illusioni (certo però non quelle di gran lunga, le quali oggi corrono il mondo, e sono in gran favore presso a tanti). Sento il dovere di far conoscere a qualunque prezzo ch’io non sono mai stato da confondere col più de’ così detti liberali d’oggidì, e che, istruito ornai dall’esperienza, non sono nemmeno da confondere con quell’io che già fui, e molte mutazioni ho in me fatto. Costi ciò tutto ch’abbia a costare al mio amor proprio, voglio che lo si sappia. Gli altri possono tacere; io non lo posso, nè lo debbo. E so che dirassi da taluni che io adulo que’ che regnano. Veramente crederei che tutta la mia vita passata m’avesse da essere scudo contro alla bassezza di guest’accusa: tanto più che quegli stessi i quali la daranno - dove tuttavia questo ardiscono dovrebbero ricordare se quando essi regnavano pur testè, io li adulava. Sarebbe avere aspettato un po’ troppo tardi a mutar natura. . . .». Prefazione, pag. vi.

    Fiere e altisonanti parole, che sono in contraddizione con la umiltà remissiva e rinnegatrice delle precedenti e che vengono smentite completamente dall’indole e dalla forma delle due scritture cui sono premesse: giacche il primo degli opuscoli dell’Orioli tratta De’ Fidecommissi e dell’Aristocrazia, nel senso di difendere gli uni e l’altra, con molto ardore polemico, ma con sofistici ragionamenti, inspirati alle più stantie e viete dottrino o ai reazionari pregiudizi di un tempo che fu e le cui istituzioni non potranno tornare mai più. L’altro opuscolo dell’Orioli tratta Della libertà e dell’uguaglianza civile, del governo e della sovranità in generale, della così detta sovranità del popolo e della Democrazia, del voto universale, delle rivoluzioni e delle riforme dei governi, e in esso queste importantissime tesi di diritto naturale e pubblico sono svolte con una disinvoltura, che potrebbe parere anche superficialità e leggerezza, e con tali argomenti che di diversi e di migliori non no avrebbe potuto adoperare uno dei "più zelanti redattori della Civiltà Cattolica per combattere, come l’Orioli combatte, l’uguaglianza civile, gli ordinamenti democratici, la sovranità popolare,