Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/207

Da Wikisource.

canto

X. ì)7

Messo t’ho innanzi: ornai per te ti ciba; Chè a sè ritorce tutta la mia cura Quella materia, ond’ io son fatto scriba. 27 Lo ministro maggior della Natura, Che del valor del Cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misura, Con quella parte, che su si rammenta Congiunto sì girava per le spire, In che più tosto ognora s’appresenta; .33 E io era con lui: ma del salire Non mi accorsi io se non come uom s’ accorge, Anzi il primo pensier, del suo venire: È Beatrice quella che sì scorge Di bene in meglio sì subitamente Che l’atto suo per tempo non si sporge. 39 Quanto esser convenia da sè lucente Quel ch’era dentro al Sol dov’io entràmi, Non per color. ma per lume parvente, Perch’io lo ingegno e l’arte e l’uso chiami, Sì noi direi che mai s’immaginasse, Ma creder puossi, e di veder si brami: 45 E se le fantasie nostre son basse A tanta altezza, non è maraviglia, Che sovra il Sol non fu occhio che andasse. 48 Tale era quivi la quarta famiglia Dell’alto Padre che sempre la sazia, Mostrando come spira e come figlia. E Beatrice cominciò: ringrazia, Ringrazia il Sol degli Angeli, che a questo Sensibil t’ha levato per sua grazia. Cor di mortat non fu mai sì digesto