Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/277

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canto

XIV. 267

netta stessa carne che qual carne la terra ricoperchia tutto I di ponendosi le salme sotterra cosi come carbon che rende fiamma come il carbone ardendo soperchia quella fiamma per vivo candore per viva bianchezza si che la sua parvenza si difende si che non resta vinto dallo splendore della fiamma stessa: ne pora tanta luce afj’atiearne nè tanta luce potrà offendere la nostra vista che perchè gli organi del corpo ossiano i sensi saran forti a tutto cio che potra diletarne saran no capaci ad ogni vivezza di diletto. E I uno e I altro choro mi parver tanto subiti e tze- corti a dicer arne mi parvero tanto solleciti, e persuasi i due cerchi di quelli spirIti a dire amen, così sia che ben mostrar disio di corpi morti che mostrarono vivo desiderio di quell’ integrità e ricongiunzione della carne all’ anima forse non piu per loro forse non per essi ma per le anime per li padri e per gli altri che fuor cari ma pei genitori, parenti ed amici che essi amarono prima d’ essere beati anzi che fuor sempiterne fiamme. Considerando poi Dante che i dottori in teologia furono quasi stelle del cielo, ed il far menzione di ciascuno di loro sarebbe lungo per non dire impossibile, immagina un’altra corona o terzo cerchio che racchiude gli altri due prima descritti et ecco un lustro di chiarezze pari aascer Intorno sopra quel chev era ed ecco una terza corona egualmente splendiente apparire intorno alle altre due per guisa dorizzonte che rischiari come quando sull’orizzonte appare il giorno. eparvem li novelle subsistentie cominciare a veder nuove anime di beati di quella terza corona si come nuove parvenze comincian per lo cielo a salir di prima sera come nuove apparizioni, nuove stelle cominciano a spuntare nel cielo al venir della sera si che la vista pare e non par vera si che la vista di esse ò tanto scarsa clic pare e rni pare