Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/354

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paradiso

Tanto, che Il suo principio non discerna Molto di là, da quel ch’cgii è, parvente. Perè nella giustizia sempiterna La vista che riceve il vostro mondo, Come occhio per lo mare, entro s’interna; 60 Chè, benché dalla proda veggia il fondo, In pelago noi vede, e nondimeno Egli è, ma cela lui l’esser profondo. 63 Lume non è, se non vien dai sereno. Che non si turba mai, anzi è tenèbra, O ombra della carne, o suo veleno. 66 Assai t’è mo aperta Iaiatèbra, Che t’ascondeva la giustizia viva, Di che facèi quistion colanto crebra. Chè tu dicevi: un uoin nasce alla riva Dell’indo, e quivi non è chi ragioni Di Cristo, nè chi legga, nè chi scriva; 7’2 E tutti suoi voleri e atti buoni Sono, quanto ragione umana vede, Senza peccato in vita o in sermoni. 75 Muore non battezzato e senza fede: Ov’è questa giustizia che il condanna? Ov’è la colpa sua, s’egli non crede? 78 Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna, Per giudicar da lungi mille miglia Con la veduta corta d’una spanna? 81 Certo a colui, che meco s’assottiglia, Se la Scrittura sovra voi non fosse, Da dubitar sarebbe a maraviglia. 84 O terreni animali, o menti grosse, La prima volontà, ch’ è per sè buona,

CÀTO