Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/355

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XiX. Ia sè, eh’ è sommo ben, mai non si mosse. 87’ Cotanto è giusto, quanto a lei consuona: Nullo creato bene a sè la Lira, Ma essa, radiando, lui cagiona. 90 Quale sovr’ esso il nido si rigira, Poi che ha pasciuto la cicogna i tigli, E come quei ch’è pasto la rimira; 93 Cotal si fece, e sì levai li cigli, La benedetta immagine, che l’ali Movea sospinta da tanti consigli. 96 Roteando cantava, e dicea: quali Son le mie note a te, che non le intendi, Tal è il giudicio eterno a voi mortali. 99 Poi si quetaro quei lucenti incendi Dello Spirito Santo ancor nel segno, Che fe’i Romani al mondo reverendi. 102 Esso ricominciò: a questo regno Non salì mai chi non credette in Cristo, Nè pria, nè poi ch’ei si chiavasse al legno. 10S Ma vedi, molti gridan Cristo, Cristo, Che saranno in giudicio assai men prope A lui, che tal che non conobbe Cristo. 108 E tai Cristian dannerà l’Etiòpe, Quando si partiranno i due collegi, L’uno in eterno ricco, e l’altro inòpe. 111 Che potran dir li Persi ai vostri Regi, Come ei vedranno quel volume aperto, Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 114 Lì si vedrà tra 1’ opere d’ Alberto Quella che tosto moverà la penna, Per che il regno di Praga fia deserto. 117