Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/369

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XX. i rimosso d’aspettare indugiò, Quel mormorar dell’ Aquila salissi Su per lo collo, come fosse bugio. 27 Fecesi voce quivi, e quindi uscissi Per lo suo becco in foriiia di parole, Quali aspettava il core, ove io le scrissi. 30 La parte in me, che vede e pale il Sole Nell’ aquile mortali, incominciomini, Or fisamente riguardar si vuole, 33 Perchè dei fuochi, onde io figura foinnii, Quelli onde l’occhio in testa mi scintilla Di tutti i loro gradi son li Sommi. 36 Colui, che luce in mezzo per ptipilla, Fu il cantor dello Spirito Santo, Che l’arca traslatò di villa in villa: Ora conosce il merLo del suo canto, in quanto effetto fu del suo consiglio, Per lo rimunerar, ch’è altrettanto. Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio, Colui, che più al becco mi s’ accosla, La vedoella consolò del figlio: Ora conosce quanto caro costa Non seguir Cristo, per l’esperienza Di questa dolce vita e dell’opposta. 48 E quei che segue in la circonferenza, Di che ragiono, per l’arco superno, Morte indugiò per vera penitenza: Ora conosce che il giudicio eterno Non si trasmuta, perchè degno preco Fa crastino laggiù dell’ odierno. L’ altro che segue, con le leggi e meco,