Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/418

Da Wikisource.

408


paradiso

Agli occhi lì che non cran poSsenti 87 Il nome del bel fior, cli’ io sempre invoco E mane e sera, tutLo mi ristrinse L’animo ad avvisar Io maggior foco. 90 E come ambo le luci mi dipinse Il quale e il quanto della viva stella, Che lassù vince, come quaggiù vinse, 93 Per entro il cielo scese una facella Formata in cerchio a guisa di corona, E cinsela, e girossi intorno a ella. 96 Qualunque melodia più dolce suona Quaggiù, e più a sè l’anima Lira, Parrebbe nube che squarciata tuona, 99 Comparata al sonar di quella lira, Onde si coronava il bel zaffiro, Del quale il del più chiaro s’ inzaffira. 10 lo sono amore angelico, clic giro L’alta letizia che spira del ventre, Che fu albergo del nostro desiro: l0i E girerommi, Donna del Ciel, mentre Che seguirai tuo Figlio, e farai dia Più la spera suprema, perché gli entre. 108 Così la circulata melodia Si sigillava, e Lutti gli altri lumi Facean sonar lo nome di Maria, I I I Lo real manto di Lutti i volumi Del mondo, che più ferve e più s’avviva Nell’alito di Dio e nei costumi, 114 Avea sopra di noi l’interna riva Tanto distante, che la sua parvenza Là, dove io era, ancor non mi appariva: 117