Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/461

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canto

XXVI.

Che posson far lo cor volgere a Dio, Alla mia cantate son concorsi; Chè l’essere del mondo, e l’esser mio, La morte ch’ei sostenne perch’io viva, E quel che spera ogni fedel, com’io, 60 Con la predetta conoscenza viva Tratto m’ hanno del mar dell’ amor torto, E del diritto m’han posto alla riva. 63 Le frondi, onde s’infronda tutto l’orto Dell’ Ortolano eterno, amo io cotanto Quanto da lui a br di bene è porto. 66 Sì come io tacqui, un dolcissimo canto Risonò per lo Cielo, e la mia Donna Dicea con gli altri: Santo, Santo, Santo. 69 E come allume acuto si dissonna Per lo spirto visivo che ricorre Allo spiendor che va di gonna in gonna, 72 E lo svegliato ciò che vede abborre; Sì nescia è la sua subita vigilia, Fin che la stimativa noi soccorre; 7!i Così degli occhi miei ogni quisquiiia Fugò Beatrice col raggio de’ suoi, Che rifulgea da più di mille miiia: 78 Onde meglio che innanzi vidi poi, E quasi stupefalto dimandai D’un quarto lume, ch’ io vidi con noi. 81 E la mia Donna: dentro da quei rai Vagheggia li suo Fattor I’ anima prima, Che la prima Virtù creasse mai. 84 Come la fronda, che Ilette la cima Nel transito del vento, e poi si leva