Pagina:Commedia - Purgatorio (Buti).djvu/397

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c a n t o    xvii. 387

19De l’empiezza di lei, che mutò forma
     Ne l’uccel che a cantar più si diletta,
     Nell’imagine mia apparve l’orma:1
22E qui fu la mente mia sì stretta2
     D’entro da sè, che di fuor non venia
     Cosa che fusse ancor da lei ricetta.3
25Poi piobbe dentro all’alta fantasia
     Un crocifisso dispettoso e fero
     Ne la sua vista, e cotal si moria.
28Intorno ad esso era ’l grande Assuero,
     Ester sua sposa, e ’l giusto Mardoceo,
     Che fu al dir et al far così intero.
31E come questa imagine rompeo4
     Sè per sè stessa a guisa di una bulla,
     Cui manca l’acqua sotto, e tal si feo;5
34Surse in mia vision una fanciulla,
     Piangendo forte, e dicea: O reina,6
     Perchè per ira ài voluto esser nulla?
37Ancisa t’ài, per non perder Lavina:
     Or m’ài perduta: io son essa che lutto,
     Madre, alla tua pria che a l’altrui ruina.
40Come si frange ’l sonno, ove di butto
     Nova luce percuote ’l viso chiuso,
     Che fratto guizza pria, che mora tutto;
43Così l’imaginar mio cadde giuso,
     Tosto che ’l lume il volto mi percosse,7
     Maggior assai che quel ch’è in nostro uso.

  1. v. 21. C. A. rimase l’orma;
  2. v. 22. C. A. E qui fu la mia mente sì
  3. v. 24. C. A. allor da lei
  4. v. 31. C. A. imagin si rompeo
  5. v. 33. C. A. qual si feo;
  6. v. 35. C. A. Forte piangendo,
  7. v. 44. C. A. che un lume