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132 madrid.


chio per non farsi scorgere, mezzani che vi guardano con occhio interrogativo, donne leggere che vi urtano al gomito; da tutte le parti cappelli in aria, sorrisi, strette di mano, saluti allegri, grida di: — Largo, — di facchini carichi e di merciaiuoli col botteghino al collo; urli di venditori di giornali, strilli di acquaiuoli, squilli di corno delle diligenze, chiocchi di frusta, rumor di sciabole, tintinnío di chitarre, canti di ciechi. Poi passano i reggimenti colle bande musicali, passa il Re, s’innaffia la piazza con immensi getti d’acqua che s’incrociano nell’aria, vengono i portatori d’avvisi ad annunciar gli spettacoli, irrompono sciami di monelli con bracciate di supplementi, esce un esercito d’impiegati dai Ministeri, ripassan le bande musicali, le botteghe s’illuminano, la folla si fa più fitta, i colpi di gomito spesseggiano, cresce il vocío, lo strepito, il moto. E non è moto di popolo affaccendato; è vivacità di gente allegra, è gaiezza carnevalesca, ozio inquieto, ribollimento, febbriciattola di piacere, che vi si attacca e vi tien lì o vi spinge in giro come un arcolaio senza lasciarvi uscir dalla piazza; una curiosità che non si stanca mai, una beata voglia di spassarsela, di non pensare a nulla, d’ascoltar chiacchiere, di bighellonare, di ridere. Tale è la famosa piazza di Puerta del Sol.

Un’ora passata là basta per far conoscer di vista, nei suoi varii aspetti, il popolo di Madrid. Il basso popolo veste come nelle nostre grandi città; i signori, se si toglie la cappa che portan l’inverno, si