Pagina:De Amicis - Spagna, Barbera, Firenze, 1873.djvu/169

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madrid. 163

Il Re e la Regina solevan pranzare con un maggiordomo e una dama di Corte. Dopo il pranzo, il Re fumava un sigaro di Virginia (se lo sappiano i detrattori di questo principe dei sigari), e andava nel suo gabinetto ad occuparsi delle cose di Stato. Soleva pigliar molti appunti e consigliarsi spesso colla Regina, specie quando si trattava di metter l'accordo tra i Ministri, o comporre gli animi divisi dei capi di parte. Leggeva un gran numero di gazzette d'ogni colore, le lettere cieche che lo minacciavan di morte, quelle che gli davan dei consigli, le poesie satiriche, i progetti di rinnovamento sociale, tutto quello che gli mandavano. Verso le tre esciva dal Palazzo a cavallo, le trombe della Guardia squillavano, un servitore vestito di rosso lo seguiva alla distanza di cinquanta passi. A vederlo, si sarebbe detto ch'egli non sapeva d'essere il Re: guardava i bambini che passavano, le insegne delle botteghe, i soldati, le diligenze, le fontane, con un'espressione di curiosità quasi infantile. Percorreva tutta la strada Alcalà, lentamente, come un cittadino sconosciuto che pensasse ai fatti suoi, e se ne andava al Prado a godere la sua parte d'aria e di sole. I Ministri strillavano; i borbonici, assuefatti all'imponente corteo d'Isabella, dicevano ch'egli strascinava per le strade la maestà del trono di San Ferdinando; persino il servitore che lo seguiva, guardava intorno con un'aria crucciata, come per dire: — Vedete un po' che pazzie! — ma checchè si dicesse, il Re non poteva pigliar l'abitudine di aver paura. E gli Spagnuoli, convien dirlo, gli ren-