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devan giustizia, e qual si fosse il giudizio che portassero della sua mente, della sua condotta e del suo governo, non mancavan mai di soggiungere: — In quanto a coraggio poi, non c'è nulla da dire.

Ogni domenica v'era pranzo a Corte. Erano invitati generali, deputati, professori, accademici, uomini chiari nelle lettere e nelle scienze: la Regina parlava con tutti e di tutto, con una sicurezza e una grazia, che per quanto si sapesse prima del suo ingegno e della sua coltura, superava sempre l'aspettativa. Il popolo, naturalmente, parlando di quello ch'ella sa, faceva le frangie: diceva del greco, dell'arabo, del sanscrito, dell'astronomia, della matematica. Ma è vero che discorreva argutamente di cose lontanissime da ogni consuetudine di studi femminili, e non con quel parlar vago e spicciativo che è proprio di chi non sa altro che titoli e nomi. Aveva studiato profondamente la lingua spagnuola, e la parlava oramai come la propria; la storia, la letteratura, i costumi della sua nuova patria, le eran famigliari; non le mancava per essere spagnuola davvero, che il desiderio di rimanere in Ispagna. I liberali brontolavano, i borbonici dicevano: — Non è la nostra regina; — ma tutti nutrivan per lei un profondo rispetto. I giornali più arrabbiati dicevan tutt'al più la esposa de Don Amedeo, invece di dire La reina. Il più violento dei deputati repubblicani, facendo allusione a lei in un suo discorso alle Cortes, non potè a meno di proclamarla — illustre e virtuosa. — Era la sola persona della Casa sulla quale