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terreni già sfruttati d’Italia; e poi che la ricchezza della rendita dipende anche dal valore intrinseco di alcuni prodotti, come del caffè, dello indaco ecc. Non si deve infine dimenticare che le tasse, che, in Italia, pesano più o meno direttamente sulla terra sono enormi tanto che si può calcolare che per ogni cento franchi di rendita non si paghino di tasse meno di cinquanta franchi; e supposto che altri venticinque franchi si spendono per cultura e manutenzione del fondo, non restano al proprietario altro che venticinque franchi.

In Italia un proprietario, che ha 1,200 franchi di rendita all’anno, non intasca di netto, pei suoi bisogni, altro che venticinque franchi al mese, cioè appena trecento franchi all’anno! E, se la rendita della terra è menomata, o peggio fallisce, per uno, o più anni, il disgraziato proprietario italiano, se ha un mestiere, un’arte, una professione, è costretto lavorare per sopperire ai bisogni della sua proprietà, per pagarne i tributi! In altri termini non è la proprietà che serve al proprietario, ma il piccolo proprietario è servo della gleba; è lui che serve alla proprietà, egli non sfrutta ma viene senza carità sfruttato dalla terra.

Se noi dovessimo calcolare la rendita delle terre africane nella maniera come si calcola la rendita delle terre in Italia, detraendone cioè le imposte più o meno dirette, avremmo che