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v. l’«orlando furioso» i37

Si rimette in cammino. C’è un monte in cui s’inoltra una grotta, coverta da edere e virgulti. Orlando v’entra e vi trova la seguente iscrizione:

     Liete piante, verdi erbe, limpid’acque,
Spelunca opaca, e di fredde ombre grata,
Dove la bella Angelica, che nacque
Di Galafron, da molti invano amata,
Spesso nelle mie braccia nuda giacque...


Que’ particolari distruggono ogni illusione. Orlando non può credere ai suoi occhi; legge e rilegge, e poi rimane di sasso. È un momento doloroso, ma Ariosto non li conduce mai fino allo strazio. Trova un paragone magnifico, che distrae l’animo. Le lacrime non gli vogliono uscire dagli occhi:

Cosi veggiam restar l’acqua nel vase
Che largo il ventre e la bocca abbia stretta:
Che nel voltar che si fa in su la base,
L’umor che vorria uscir tanto s’affretta,
E nell’angusta via tanto s’intrica,
Ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica.


Quest’ultimo verso, che vuole cinque pause, è stupendo:

Che a goccia a goccia fuore esce a fatica.

Lasciamo interrotta la piú gran scena psicologica della poesia italiana, che da Dante a Tasso deve considerarsi come la prima epoca della poesia europea, che ha per carattere una sintesi senza analisi. L’analisi comincia con Shakespeare. Gl’italiani hanno avuto la dolce amara iniziativa della civiltà moderna, ed in Machiavelli trovate per primo questa sottilissima analisi. In questa scena è con più potenza iniziata l’analisi del cuore umano. Un avvenimento con mille gradazioni. L’amore di Angelica e Medoro: prima sono parole: poi una iscrizione; poi voce umana, racconto d’un pastore. Queste gradazioni esterne corrispondono a gradazioni interne nell’animo di Orlando. Orlando sorbisce il