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massimo d’azelio 233

manda era una rivelazione; l’artista si sentiva incompleto: e dietro al pittore inappagato apparve il romanziero.

Era il i833. Le speranze nella Monarchia di Luglio erano svanite: lo straniero avea soffocato nel sangue i moti di pochi generosi; ogni via pareva chiusa di migliore avvenire. Eppure non si era mai parlato tanto d’Italia, mai le speranze non erano salite sí alto. Gli è che spesso ci veniva ima buona novella, un pezzo di questo medio evo ad uso nostro. Oggi era la poesia dello Stivali, dimane le Fantasie sulla Lega Lombarda. Ora ci giungea l’Arnaldo da Brescia; ora il Coro dell’Adelchi, ora l’Assedio di Firenze. E noi ci comunicavamo furtivamente la Buona Novella, e ci susurravamo all’orecchio i colpevoli versi e divoravamo il libro vietato. Un giorno correva di mano in mano l’Ettore Fieramosca. E bevevamo a larghi tratti l’orgoglio di quello che fummo e accompagnavamo palpitando alla pugna Ettore e Fanfulla. Ricordo con quanta indegnazione seguivamo i passi di colui, che italiano combatteva contro italiani accanto allo straniero. Ricordo con quale accento dell’anima accompagnavamo le parole di Ettore, quando, gittatolo giú del cavallo, gli diceva: Sii maledetto! o nemico del tuo paese. E noi aggiungevamo: Siate maledetti, voi che pregate per la vittoria dello straniero, voi che desiderate lo straniero a casa! Ne’ nostri animi c’era il ’48, c’era giá l’Italia, e noi ne dobbiamo esser grati a quella eletta schiera di cittadini che cospiravano alla faccia del sole col pennello e colla penna.

All’Ettore Fieramosca succedette il Niccolò de’ Lapi, la tragedia dell’Italia, che moriva intorno alle mura di Firenze. Moriva, ma lasciando di sé tale memoria, che prenunziava il risorgimento: moriva, ma raccogliendo nell’ora della morte intorno a Michelangelo e Ferruccio quanto di piú eroico si possa ricordare in tutta la sua vita. Quel libro è il codice dell’eroismo italiano: lá abbondano i grandi fatti e i grandi motti. Quando Niccolò vede partire pel campo i suoi figli, dice: O Firenze! o patria! Null’altro mi rimane, fuorché coteste vite! io te le dono! Questo motto prenunzia le parole di una madre, della madre di Cairoli. Caduto Ferruccio, ogni speranza era perduta; quale