Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. I, 1952 – BEIC 1803461.djvu/143

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giulio janin i37


Io non conosco la vita di quest’uomo, né ho letto alcuna cosa sua, tranne qualche pagina di un libro, che egli ha intitolato: Storia della Letteratura drammatica e poteva intitolare in mille altri modi. Ma che importa? In questo articolo vi è tutto lui, vi è il malato in tutto il suo parossismo: non hai che a tastargli il polso. Lo stile di Giulio Janin è cosí impresso del suo moi, che una sola pagina basta a persuaderti che tu lo conosci da lunga pezza, ed hai contratto con lui una antica amicizia. — Noi siamo vecchi amici, Giulio Janin! —

La prima cosa che tu puoi affermare sicuramente, letto l’articolo, è questa: Janin sa delle regole, ed ha innanzi de’ modelli; ma non conosce la critica come scienza, o, per dir meglio, il suo spirito non sa concepire la scienza, e non ci crede: il generale è per lui qualche cosa di vuoto, da cui egli abborre: abhorret a vacuo. La sua critica si può riassumere in due parole: fatti e impressioni. Né dico ciò a biasimo: fo un ritratto, non una satira; io voglio solo assegnare il suo posto a Giulio Janin. Non son io giá di quei critici esclusivi ed intolleranti, che non comprendono che una sola natura d’ingegno, un solo sistema, una sola specie di poesia: non rifiuto Alfieri, perché Alfieri non è Racine: io comprendo, o, per parlare piú modestamente, io mi sforzo di comprendere l’uno e l’altro. Dunque Janin non è un ingegno speculativo, né vi pretende, e forse se ne beffa secondo l’usanza antichissima: gli inferiori hanno a loro consolazione il diritto di far la parodia de’ loro superiori; la scimmia contraffá l’uomo, la commedia, come dice Victor Hugo, fa la caricatura alla tragedia; la plebe fa le fiche a chi sa leggere, e Janin alla estetica: — C’est de la métaphisique! — Lasciamo adunque da parte la metafisica e scendiamo piú giú.

Avete voi un lavoro da esaminare? Se avete un ingegno che si levi un poco dal comune, quel lavoro vi si denuderá innanzi di tutta la sua superficie, di tutto ciò che ha di accidentale e di comune: che ci resta? la sua personalitá, la sua anima, quello per il quale esso è sé e non un altro. Direi che qui è la «situazione» del lavoro, se non temessi di spaventare Janin con una parola che odora di metafisica. Ma si rassicuri. Si può ignorare